Il primo gay proletario: "Kyra Kyralina" di Panait Istrati (1924) - Articolo di Lavinia Capogna
Il primo gay proletario: "Kyra Kyralina" di Panait Istrati (1924)
Articolo di Lavinia Capogna
Forse la Romania è una delle nazioni europee di cui in Italia si sa meno.
Anticamente abitata da una fiera popolazione che i Romani faticarono a conquistare, la sua natura è bella e selvaggia. Vi sono grandi boschi e vallate, e la costa si affaccia sul mar Nero. Vi sono anche antichissimi monasteri.
Anche la sua antica cultura non è abbastanza conosciuta in Italia, nonostante la lingua rumena, musicale e fluente, derivi dal latino.
Panait Istrati è lo scrittore rumeno più noto in Italia. Molto ammirato in patria e famoso in Francia (anche perché le sue opere sono scritte in francese) è stato scoperto o riscoperto da noi quando la casa editrice Feltrinelli pubblicò nel 1978 il suo capolavoro, "Kyra Kyralina".
Il maggior studioso dell'opera di Panait Istrati è Goffredo Fofi, ed è doveroso dirlo perché senza la sua appassionata ricerca sullo scrittore greco-rumeno, Panait Istrati sarebbe conosciuto da noi solo dai più colti lettori di libri in lingua francese e dagli eruditi.
Panait Istrati nacque nel 1884 a Braila, la città in cui si ambienta la maggior parte delle sue opere e in parte anche "Kyra Kyralina".
Sua madre era una lavandaia, una donna coraggiosa e tenace, suo padre era un contrabbandiere greco che Panait Istrati non conobbe mai.
Se Napoleone Bonaparte aveva detto che la sua vita era stata un romanzo altrettanto avrebbe potuto dire Istrati. A dodici anni lasciò la madre per viaggiare e fu costretto ad esercitare vari mestieri: calderaio, manovale, sterratore, uomo-sandwich, pittore di insegne, imbianchino.
Viaggiò in Grecia, in Turchia, in Egitto, in Siria e per un certo tempo visse a Napoli.
Frequentò le persone più varie, di ogni condizione sociale, e nei suoi libri vi sono rumeni e greci, turchi e arabi: una mescolanza di culture e tradizioni che rende il suo mondo letterario ricchissimo e mirabolante.
Le passioni nella sua opera sono sempre estreme: l'amore, l'amicizia, le "leggi non scritte" di un microcosmo che si può definire tra proletariato e sottoproletariato, tra onesti e disonesti, tra poveri pieni di dignità e malavitosi spesso cruenti.
Lo scrittore svizzero Romain Rolland, che incoraggiò Istrati a scrivere e che lo fece conoscere al mondo, lo chiamò "il Gorkij dei Balcani" (Maxim Gorkij era allora, negli anni Venti, lo scrittore sovietico più acclamato e celebrato. Fin da ragazzo aveva mutato il suo nome, che era Aleksej Maksimovic Peskov, in quello di Gorkij, che in russo significa "amaro". Aveva conosciuto Lev Tolstoj ormai anziano e più tardi aveva aderito al marxismo).
Se il caso non esiste, come credono gli induisti dell'India, l'incontro tra Panait Istrati e Romain Rolland fu veramente un destino.
Romain Rolland (1866-1944) era uno scrittore famoso e stimato, aveva vinto il Premio Nobel nel 1915, da alcuni era detestato perché durante il conflitto del 1914-18 era stato strenuamente pacifista. Ancora adolescente aveva incontrato Victor Hugo, il grande scrittore autore de "I miserabili" e "Nôtre Dame de Paris" e, adulto, era diventato amico del Mahatma Gandhi.
Rolland non era solo uno scrittore ma un socialista idealista che coniò la celebre frase, "Il pessimismo della ragione, l'ottimismo della volontà".
Durante la prima guerra mondiale Panait Istrati si trovava in un sanatorio svizzero dove fece amicizia con Josuè Jéhouda, uno scrittore ebreo, ammiratore dell'opera di Rolland, che gli prestò una copia di "Jean Christophe", il capolavoro del romanziere elvetico.
Istrati lo lesse e si "innamorò" del libro e delle idee di Rolland. Ebbe il suo indirizzo, gli scrisse... ma Rolland aveva cambiato domicilio. Per anni Istrati continuò a scrivere a Rolland, ma sempre all'indirizzo sbagliato. Sembrava che i due uomini non dovessero incontrarsi mai.
Però a 37 anni Istrati, oppresso dalla tisi e dalla povertà, tentò il suicidio tagliandosi le vene nel giardino adiacente alla famosa Promenade des Anglais a Nizza. Fu salvato per miracolo; nella giacca trovarono una lettera per Rolland.
Qualcuno la inviò all'indirizzo giusto e lo scrittore svizzero si prodigò per il rumeno, volle conoscerlo, lo incitò a scrivere le sue avventure, ebbe fiducia nel suo talento e nel 1924 fece pubblicare in Francia "Kyra Kyralina", un romanzo in tre parti, presentandolo con una splendida prefazione.
Il successo del libro fu immediato e finalmente Panait Istrati vide riconosciuto il suo talento letterario.
Si trasferì a Parigi, dove frequentò artisti ed intellettuali e collaborò alla rivista "Clarté" di Rolland.
Pochi anni dopo pubblicò "Codine", un altro bel romanzo, ambientato a Braila, sull'amicizia tra un ragazzino buono e delicato, Adrian, e un trentenne criminale, Kodin, che intravede tuttavia che vi sono altri modi di vivere la vita, oltre alla violenza e i "codici d'onore" che aveva appreso fin da fanciullo.
Nel 1929 Istrati pubblicò un ampio "Diario" su un lungo soggiorno in Urss, dove era stato invitato essendo uno dei più famosi scrittori comunisti europei.
Il libro, intitolato "Verso l'altra fiamma", era un documento scoraggiato e critico verso l'Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste in cui dopo la morte di Lenin (1924) era ormai definitiva la predominanza di Stalin.
Alcuni comunisti francesi, tra cui Paul Nizan, l'autore di "Aden Arabie", criticarono Istrati, che da qualcuno venne accusato di essere un agente del governo reazionario rumeno. L'anarchico tedesco Erich Muhsam lo difese invece appassionatamente.
Molto amareggiato, lo scrittore fece ritorno in Romania, dove morì nel 1935.
"Kira Kyralina" non solo è un bel romanzo, ma ha soprattutto la particolarità di avere come protagonista un omosessuale dichiarato, cosa molto rara in quei tempi.
Questo elemento non ha relazione con la vita privata di Istrati e non si conosce il suo orientamento sentimentale.
Nel romanzo Stavro, il cui vero nome è Dragomir, è un personaggio tratteggiato con sensibilità e sagacia letteraria.
La vicenda inizia in una splendida sera estiva quando il diciottenne Adrian (molto probabilmente l'alter ego di Panait Istrati) si reca al porto di Braila e riconosce in un uomo biondo, magro, all'incirca sui cinquant'anni, un lontano parente di sua madre.
L'uomo è appunto Stavro, viaggiatore, venditore ambulante di limonate, verso cui Adrian ha una fraterna simpatia e da cui è incuriosito per la misteriosa storia di un antico matrimonio, di cui ha sentito sussurrare qualcosa dalla madre.
Stavro propone ad Adrian di accompagnarlo ad una fiera in un'altra città e il ragazzo accoglie entusiasta l'idea, annoiato dal suo lavoro di imbianchino e attratto dall'idea di viaggiare.
Insieme a loro parte anche il greco Mihail, un giovane venditore di frittelle.
La notte seguente, in una misera locanda, Stavro tenta di baciare Adrian mentre quest'ultimo è addormentato. Il ragazzo si sveglia, meravigliato, non comprende che senso abbia "l'iniziativa" del lontano parente, ma Mihail rimprovera duramente Stavro, lo accusa di "perversione" e di "vizio".
L'uomo, profondamente turbato e pentito, racconta loro la storia della sua vita e di quando, venticinquenne, aveva assunto il falso nome di "signor Isvoranu", mercante di oggetti in rame a Damasco, per fidanzarsi con una bellissima ragazza "con gli occhi neri", figlia di un ricco mercante di vini di Braila.
Stavro era davvero innamorato della ragazza, ma era spaventato dall'idea di fare l'amore con lei.
Accolto nella famiglia, inquadrato come futuro erede dal padre, vittima di una società chiusa e rigidissima, non aveva potuto confessare le sue paure alla ragazza.
Anche lei era innamorata di lui e, dopo il matrimonio, aveva accettato la situazione, celandola ai suoi familiari.
Il racconto dell'amore platonico tra Stavro e la fanciulla dagli occhi neri è una delle parti più delicate e commoventi del romanzo e crea un netto contrasto con il mondo violento e barbarico in cui i due giovani si trovano a vivere.
Molto belle sono anche le pagine in cui Panait Istrati descrive il declino della considerazione in cui era tenuto il giovane nella casa, e poi l'isolamento e la diffidenza che sfociano in violenza quando si scopre che egli non ha avuto rapporti con la moglie.
I due fratelli della ragazza vanno alla ricerca d'informazioni e trovano un vagabondo greco, notoriamente gay, che davanti a tutti accusa Stavro di non essere il signor Isvoranu, di non essere un commerciante ma un venditore di limonate e di essere un p... , cioè un pederasta, termine con cui fino a qualche decennio fa si denominavano gli omosessuali.
Dopo la terribile rivelazione del greco, che condanna Stavro, il ragazzo viene malmenato e gettato nella neve dai due fratelli della moglie.
La sua sposa non può far nulla per difenderlo: è una donna, il che in quella società equivale ad essere inferiore.
Stavro trova rifugio presso un turco, che non sa nulla di lui e che lo cura; pochi giorni dopo gli racconta che la fanciulla è stata ritrovata affogata nel Danubio. Omicidio o suicidio? Lo scrittore lo lascia nel dubbio.
Adrian è profondamente commosso dalla vicenda del matrimonio di Stavro e ben presto i tre si rimettono in viaggio verso la fiera.
La seconda e la terza parte del libro sono altre storie di Stavro.
La seconda narra della sua infanzia con la madre, che era una prostituta (una donna buona, innamorata del canto e della musica) e la sorella, Kyra, a cui era affezionatissimo.
La descrizione della casa in cui vengono ricevuti gli ammiratori delle due donne, del tè che viene servito, delle conversazioni, è di una raffinatezza tutta orientale, e non vi è nulla di morboso o di scandaloso.
Ma il padre di Stavro e di Kyra compie una terribile vendetta, ferisce crudelmente la moglie, distrugge la famiglia e i due giovani figli vengono rapiti da un ricchissimo turco, Nazim Effendi.
Il turco li attrae sulla sua nave e giunto a Costantinopoli, l'odierna Istanbul, vende Kyra a un harem e tiene con sé il quindicenne Stavro, creando una prigione dorata in cui lo circuisce.
La singolare personalità di Nazim Effendi è descritta con grande sottigliezza psicologica.
Nella terza parte vi è il racconto di come Dragomir-Stavro, fuggito da Nazim Effendi, cerchi disperatamente di ritrovare la sorella e di come in Egitto incontri finalmente un buon amico: il venditore ambulante greco, Barba Yani, simpatico, allegro, ex insegnante in Grecia finito chissà come a fare l'ambulante in Medio Oriente.
Come si sarà notato, il romanzo è pieno di personaggi e di atmosfere.
Non vi è però nulla di folcloristico nelle descrizioni di Istrati: vi è la conoscenza di un uomo che ha molto viaggiato e che ha incontrato molte persone.
Il male, per Panait Istrati, è generato sempre dalle condizioni culturali, economiche e dall'ignoranza: per questo egli può essere definito come uno scrittore realista e comunista.
Il fatto che i personaggi descritti con maggiore partecipazione umana in "Kyra Kyralina" siano un omosessuale e le donne è un fatto importante. Gli omosessuali erano apparsi prima di "Kyra Kyralina" quasi esclusivamente in qualche opera di André Gide o nell'affresco di "Alla ricerca del tempo perduto" di Marcel Proust.
Nei romanzi di Gide erano borghesi che "osavano" rivelarsi solo in paesi stranieri, mentre nel capolavoro di Proust erano aristocratici o ragazze borghesi piuttosto insincere (come Albertine e Andrée).
Era giusto che Gide e Proust descrivessero il loro mondo sociale, perché quasi sempre gli scrittori elaborano creativamente anche le classi sociali a cui appartengono o che comunque frequentano. Ma Stavro, in quanto gay proletario, era invece una figura nuovissima nella letteratura europea.