"Una educazione sentimentale a Milano" - Recensione di Lavinia Capogna

Una educazione sentimentale a Milano 

Recensione di Lavinia Capogna
(Giugno 2025)

Del romanzo di Stefano Molinari "Canto del Capro" (Ex Cogita Editore)

Strada a Milano, anni '70


Nel 1822 Stendhal compose un singolare saggio, intitolato "De L'amour" (Dell'amore) che contiene una interessante ipotesi psicologica che lui chiamò "cristallizzazione": egli sosteneva infatti che nel momento in cui una persona si innamora di un'altra l'immagine della persona amata rimane per lungo tempo quella percepita in quel momento particolare. Un'immagine fissa a cui può occorrere anche molto tempo per essere modificata
Non sarebbe utile discutere qui se questa ipotesi stendhaliana possa essere esatta oppure no però è quello che accade a molti: anche a Stefano, protagonista de "Canto del Capro" un romanzo autobiografico che meriterebbe sicuramente maggiore attenzione.
Esso racconta una educazione sentimentale a Milano dal 1973 in poi (la frase "educazione sentimentale" rimanda invece a Flaubert).
Nel primo capitolo l'autore ci racconta gli esordi della sua vita e la sua famiglia, una famiglia borghese e rappresentativa dell'epoca: una madre insegnante di pianoforte, un padre contabile del lavoro, cattolici, politicamente di centro e antifascisti.
La scoperta precoce del suo orientamento omosessuale sembra essere l'elemento di rottura in questa famiglia la cui quotidianità scorre tranquilla.
Ci sono vari flashback durante il libro che si rivelano particolarmente interessanti per comprendere non solo le vicende del protagonista ma anche la società del tempo. Egli deve scontrarsi, dopo le sue prime innocenti impressioni e prime certezze, con una società molto repressiva dove essere gay veniva immediatamente stigmatizzato, anzi era un argomento che doveva essere celato, occultato o mascherato. E, come insegna la sociologia, ciò che non viene menzionato in una società di trasforma in un tabù, cioè non esiste per quella (anche se nella realtà esiste).
Nel secondo capitolo, Stefano, ormai 21enne (siamo nel 1973), rifiuta decisamente questa ipocrisia e riesce a fare coming out con il padre. Quest'ultimo non accoglie tanto bene lo svelamento ma neppure troppo male, si trova di fronte a qualcosa di impensato, di non previsto che si scontra con la sua visione del mondo ma che tuttavia non rifiuta in modo estremo.
Anzi, è divertente l'episodio in cui il giovane Stefano viene fatto spiare dalla cameriera, che parla solo in dialetto e che finge, per carpire chissà quali segreti, di essere ...gay friendly !
E proprio il 1973 si rivela un anno cruciale nella vita del protagonista, l'anno di tre eventi: il coming out con il padre, con il quale ci sono spiragli di dialogo che, purtroppo, vengono brutalmente e bruscamente interrotti dal decesso improvviso del genitore, già cardiopatico. Con la madre Stefano sembra avere un rapporto assai meno confidenziale che riuscirà però a recuperare anni dopo (oltre al fatto che allora, aggiungo io, era considerato sconveniente parlare di omosessualità con una madre e con una donna).
Poi la sua prima relazione con un coetaneo che durerà a lungo (anche se il suo amico poi si sposerà) ma che non rappresenta il grande amore che lui attende e che la gioventù merita, anche se sovente ciò non accade: il grande amore sarà l'incontro casuale (o è invece un destino?) all'università con Marco. Un ragazzo che, inizialmente, sembra quasi altero, sicuro di sé, imperturbabile, assai bello. Stefano si innamora perdutamente di lui ma si trova davanti una barriera: come fare per rompere il ghiaccio? I due si incrociano fugacemente nei corridoi dell'università e a qualche esame, scambiano qualche rapido sguardo, Marco appare e poi scompare repentinamente nel dedalo delle strade di Milano attorno al Duomo. La città non è in questo romanzo una cornice ma una protagonista che accompagna i sentimenti di Stefano, il quale, come tutti i giovani innamorati, si trasforma in un detective che inventa abili stratagemmi per scoprire il nome di Marco (che ancora non sapeva) e dove abiti.
Questa parte del libro registra i sentimenti del protagonista, le sue ansie, le sue incessanti ricerche in cui riesce a scoprire il nome del ragazzo e anche che vive in un paese a lui sconosciuto fuori Milano.
Egli si recherà anche in questo paese, in una sorta di pellegrinaggio sentimentale nella vana speranza di incontrarlo. 
Il romanzo è inframmezzato anche da riflessioni su libri e sulla musica, riportando alcune battute musicali tratte da spartiti, che svolgono un ruolo essenziale nella vita di Stefano e pertinenti alla trama.
Nel frattempo egli prosegue la sua vita di ragazzo, l'università, gli esami che tuttavia subiscono un ben comprensibile rallentamento dopo la scomparsa del padre, i viaggi con gli amici, qualche incontro sentimentale e anche qualche episodio in cui egli viene fermato da arditi sconosciuti (come il diciassettenne nella notte di Siena) che dignitosamente respinge.
Molinari evidenzia l'ipocrisia di una società che condanna l'omosessualità ma nella quale anche alcuni tra i più omofobi a volte lo sono così come degli uomini sposati.

Finalmente dopo qualche parola scambiata all'università, apparentemente per caso ma in realtà a lungo attesa si rompe il silenzio tra i due. Marco accetta di fare una passeggiata e Stefano trova il coraggio di rivelargli i suoi sentimenti. Marco non si mostra ostile ma gli dice che ciò comporterebbe un cambiamento radicale nella sua vita già impostata.
Una frase di stampo più filosofico che colloquiale. Negli incontri successivi Marco si rivela assai meno altero di come era sembrato la prima volta a Stefano anzi, mostra una certa incertezza, un continuo avvicinarsi e un ritrarsi, uno schermirsi, non privo tuttavia, di una sfumata tenerezza. Entrambi sono studiosi di filologia e Lettere antiche, colti, in politica hanno idee diverse ma ciò non rappresenta un problema: Marco è comunista e Stefano è di centro, anche se non specifica di quale area politica.
Come sappiamo dalla fine degli anni '60 e per tutti i '70 le idee politiche ebbero una preminenza assoluta non solo nelle aule del potere ma ancora di più nelle piazze, nelle strade, nella vita comune, nel modo di vestirsi e di parlare e si diceva "il personale è politica", che voleva significare una coerenza tra ideologia e vita privata.
Stefano ha anche un percorso spirituale, da cattolico egli diventa assai dubbioso dell'esistenza di Dio, forse agnostico o ateo anche se tuttavia la Bibbia rimane per lui una fonte di ispirazione.
Marco sfugge ma non vuole neppure tagliare i ponti dopo l'appassionata dichiarazione di Stefano: inizierà un trovarsi e un perdersi in un crescendo fatto di telefonate e incontri nei parchi pieni di nebbia. Si potrebbe dire che Stefano è una prova della ipotesi della "cristallizzazione" di Stendhal finché, analizzando le parole gentili seppur reticenti di Marco, non avrà il dubbio che sia "un gay represso".

Non rivelo come seguita questa storia per non sciuparne la lettura.
"Canto del Capro" è un romanzo di formazione scritto molto bene (Molinari è autore anche di altre opere sia in prosa sia in poesia). Trama tra sogno e realtà, speranze e disinganni, evita con eleganza qualsiasi banalità, frase fatta o volgarità (e ciò costituisce un altro pregio del romanzo). Molinari non vuole "scandalizzare i borghesi", un'altra frase dell'epoca, ma solo raccontare un privatissimo sentimento e così facendo, forse involontariamente, diventa il cantore di un vissuto di molti e perciò doppiamente degno di nota e di "una intermittenza del cuore", per rubare, infine, una frase a Marcel Proust.












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