Federico García Lorca, poeta - Articolo di Lavinia Capogna

Federico García Lorca, poeta

"La poesia non ha bisogno di seguaci ma di amanti" 
García Lorca


Articolo di Lavinia Capogna

Federico García Lorca non è solo un grande poeta del Novecento e un eccelso commediografo ma anche il simbolo dei martiri del franchismo. La sua tragica morte, avvenuta all’inizio della guerra civile spagnola (1936), quando fu sequestrato dalla casa di alcuni amici dai miliziani franchisti e fucilato senza nessuna accusa e senza processo, barbaramente, suscita ancora oggi dolore. L’unica "colpa" di García Lorca era di essere un grande poeta e un instancabile giramondo della cultura: il suo teatro ‘La Baraca’ (La Baracca) portava su un carrozzone ambulante attori, attrici e testi teatrali nei villaggi più sperduti della Spagna. I contadini analfabeti o quasi di quei paesi e borghi dimenticati, polverosi, assolati e ancora cervantini potevano così, grazie al giovane poeta, conoscere e divertirsi alle rappresentazioni delle grandi opere del teatro iberico. Egli stesso fu autore di opere teatrali la cui bellezza e la cui forza scenica e drammatica è ancor oggi insuperata: “Yerma”, “Bernarda Alba”, “Nozze di sangue” sono solo alcuni dei drammi lorchiani. 

Di lui un altro grande poeta, il cileno Pablo Neruda, premio Nobel, disse: "Era un lampo fisico, un’energia in moto perpetuo, un’allegria, uno splendore, una tenerezza assolutamente sovrumana. La sua persona era magica e apportava felicità". 
Neruda dedicò all’amico scomparso una splendida lirica così come fecero anche Antonio Machado e Unamuno, altri grandi poeti spagnoli.

Federico García Lorca era nato il 5 giugno 1898 a Fuente Vaqueros, vicino a Granada. Proveniva da una famiglia della media borghesia. Le foto giovanili mostrano un ragazzo bruno e bello, con un’espressione sensibile.
A 17 anni già componeva liriche come questa: 
"L’amore non si può raccontare,/ non si può raccontare,/ molto lontana è la dolcezza,/ nascosta in mare,/ in un eterno vagare./ Molto vicina è l’amarezza…”. 

A 18 anni scriveva: “Oggi sento un vago tremore di stelle, ma il mio sentiero si perde, nell’anima della nebbia”. (“Cancion otonal”) e solo pochi giorni dopo la stupenda “Elegia a Dona Juana la loca” (Elegia a Donna Giovanna la Pazza) in cui la chiamò: “Principessa innamorata e mal corrisposta".

Spesso García Lorca, che suonava la chitarra e il pianoforte, sapeva evocare lievissimi stati d’animo con parole incantate e, detto per inciso, la musica e la poesia sono due espressioni artistiche straordinariamente affini.

Nel 1924 pubblicò la sua prima raccolta di poesia “Libro de poemas” che ebbe successo e in pochi anni vide la luce tutta la sua opera poetica: del ’27 è “Canciones”, del ’28 “Romancero gitano”, del ’31 “Canto jondo ” e furono pubblicate postume le raccolte “Poeta en Nuova York” e “Divan de Tamarit”.

Ancora studente a Madrid, aveva fatto amicizia con tre grandi artisti iberici: il futuro regista Luis Buñuel, il futuro pittore Salvador Dalì e il giovane poeta Juan Ramon Jimenez.

Amante anche del disegno, egli espose i suoi disegni nel ’27 a Barcellona, ebbe un certo influsso su di lui il movimento francese del Surrealismo ma ben presto egli scoprì grande amore: il teatro e al teatro dedicò gli ultimi anni di vita con passione.

La sua lirica più celebre è certo “Lamento per Ignacio Sánchez Mejías” (Llanto por Ignacio Sánchez Mejías), composta nel 1935:
"Alle cinque della sera./ Eran le cinque in punto della sera. / Un bambino portò il lenzuolo bianco / alle cinque della sera. / Il resto era morte e solo morte, alle cinque della sera/". 
Questo è l’incipit della lirica divisa in quattro parti in cui ritorna, come in un tema musicale, il verso ‘alle cinque della sera’. 
Lirica meravigliosa, esprime dolore, sconvolgimento, tragedia. Stilisticamente è un’opera perfetta. Il poeta ricorda l’amico Ignacio Sánchez Mejías, torero, ucciso da un toro nell’arena ‘a los cinco de la tarde’ e conclude così:
"Nessuno ti conosce. No. Ma io ti canto./ Canto per dopo il tuo profilo e la tua grazia. / La grande maturità della tua intelligenza. / Il tuo appetito di morte e il gusto della sua bocca./ La tristezza che ebbe la tua coraggiosa allegria./ Tarderà molto a nascere, se nasce/ un andaluso così puro, così ricco d’avventura./ Canto la sua eleganza con parole che gemono, e ricordo una brezza triste negli ulivi".

L’amore è un tema ricorrente delle liriche lorchiane, spesso è un amore che lascia un po’ di amarezza, vaghezza, solitudine. Ancora vivente il poeta circolò la voce che fosse omosessuale. Lui negò (ma allora non si poteva fare altrimenti) e così anche la famiglia. Salvador Dalì raccontò in seguito, irrispettosamente, dettagli della sua storia d’amore con Federico García Lorca in un libro, edito a Parigi nel 1969: “Salvador Dalì. Les passions selon Dalì” (Le passioni secondo Dalì).
Tuttavia è ormai certo che Federico Garcia Lorca fosse omosessuale e che il suo orientamento sentimentale influenzò la sua lirica. Egli scrisse una lunga poesia dedicata al poeta gay Walt Whitman, pubblicata postuma nella raccolta “Poeta a New York”.
Compose anche un'altra poesia, intitolata “Il pederasta”, che era allora l’aggettivo, anche se scorretto, più usato per indicare i gay, in cui descriveva un giovane in vestaglia, al balcone della sua casa, mentre si pettinava con cura i capelli e veniva segretamente osservato dai vicini pettegoli, un’immagine che aveva qualche reminiscenza con le tele di Murillo o Goya.
Alcuni critici hanno visto in questa poesia un ironico autoritratto del poeta. 
Sembra che non solo la firma che lui aveva apposto, poco tempo prima, ad un appello a favore del legittimo governo democratico contro Franco, insieme a molti altri intellettuali, fosse stata la causa della sua tragica fine ma anche il suo orientamento. 

Nell’estate del 1936 il governo democratico spagnolo era stato rovesciato da un colpo di stato, con l’appoggio politico e militare di Mussolini e di Hitler.
Il 7 aprile di quell’anno Federico García Lorca aveva dichiarato al giornale ‘La voz’ (La voce):

"La poesia è qualcosa che cammina per le strade, che si muove, che passa accanto a noi. Tutte le cose hanno il loro mistero e la poesia è il mistero di tutte le cose. Si passa accanto ad un uomo, si guarda una donna, si percepisce l’incedere obliquo di un cane e in ciascuno c’è la poesia".

Questa bellissime parole sono le ultime parole pubbliche del poeta. Il 19 agosto egli veniva fucilato a Viznar, presso Granada, come abbiamo scritto senza accusa e senza processo, insieme ad altri tre uomini. I loro corpi non vennero mai ritrovati.
Un testimone, che l’eminente spagnolista e traduttore Vittorio Bodini ritenne degno di fede, raccontò che durante il percorso verso il luogo della fucilazione Federico García Lorca aveva pianto. 
Aveva appena compiuto 38 anni.

Come una meteora egli attraversò il nostro mondo e vi apportò una struggente, non retorica, tenerezza.






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